Calzabigi 70: l’incrocio del tempo e della lingua sulla costa toscana

 Quando ero bambino, abitavamo in un condominio degli anni sessanta che era stato costruito appoggiandosi ad un fabbricato molto più vecchio, alto e austero, dove abitavano i miei nonni materni, Alfredo e Santuzza detta Santù. I due palazzi erano così attaccati che tre finestre di casa nostra davano su una chiostra interna, sulla quale si affacciavano anche due finestre di casa dei nonni. Se spostavamo le tende e ci affacciavamo alla finestra del corridoio, di fronte a noi, un piano e mezzo più in alto, vedevamo la finestra del corridoio di nonna.

Un giorno lo zio Ugo, il fratello più grande del mio babbo, ci disse – ho recuperato un citofono, due cornette col campanello, potrei montarle per parlarvi, per parlare con nonna che abita nel portone accanto al nostro e risparmiare lo scatto del telefono grigio.

Il citofono venne montato nelle due case ma non funzionerà mai, e allora il campanello interno col quale ci chiamavamo diventerà il segnale che nonna è alla finestra e ha qualcosa da dire: ci fa vedere un lavoro a maglia da dietro i vetri, ci vuol dire che l’ha chiamata la zia Ida, oppure nonno sta peggio e mamma corre su. Negli anni la comunicazione si raffina; orecchie di vicini potrebbero ascoltare le comunicazioni più riservate madre-figlia e allora quando vogliono dirsi qualcosa di segreto e privato mamma e nonna abbassano il tono e usano il francese. Sì, perché nonna ha abitato a Nizza, dove ha fatto la parrucchiera a diciott’anni, e dove tutte le sue sorelle e fratelli sono emigrati negli anni trenta. Anche mamma è stata tanto dai cugini francesi e parla bene quella lingua ruggente. È così che grazie alla nostra curiosità io e i miei fratelli impariamo a capire il francese, da quei dialoghi criptati nella chiostra. Ma il codice segreto più bello è quello dei tre squilli: quando nonna fa tre squilli staccati vuol dire che ha fatto qualcosa di buono e ce lo vuole dare subito. Allora andiamo in fondo al nostro balcone, da dove, sulla grandissima facciata del palazzone austero a fianco si apre una finestra, alcuni metri più in alto. Nonna compare da lì, cala giù un paniere e comincia a farlo pendolare a destra e sinistra finché, nell’oscillazione ampissima a destra arriva al nostro balcone e noi lo prendiamo al volo usando un bastone che sta lì a questo unico scopo. Si slega, si apre, si prende il contenuto caldo e si rimanda su il paniere.

Volevo arrivare qui solo per dire che ieri sono andato a portare qualcosa alla mia mamma e l’ho vista da sotto, affacciata alla finestra. Sembrava nonna Santù dietro i vetri, e mi veniva da parlarle in francese, comment ça va? – ma sta al sesto piano e da lassù non mi sente. Sventola un canovaccio verso me e Giulio che siamo sotto e ci sorride, mi immagino che risponda – ça va, ça va.

Livorno, marzo 2020

Calzabigi 70: the crossings of time and language on the Tuscan coast

 When I was a child, we lived in an apartment complex from the sixties that had been built adjacent to a much older, tall and austere building, where my maternal grandparents Alfredo and Santuzza, called nonna Santù, lived. The two buildings were so close that three of our windows overlooked an internal courtyard and faced two of our grandparents’ windows. If we pushed aside the curtains and looked out the hallway window, we could see grandma’s hallway window, one and a half floors higher.

One day my uncle Ugo, my father’s eldest brother, said – I dug up an intercom, two handsets with their doorbells; I can install them to talk with each other, so that we could talk for free with nonna who lives next door without the telephone connection charge.

One handset was installed in each of the two houses, but they never ended up working, so the bell ringing alone signaled that grandma was at the window and had something to say: she might show us her knitting from behind the glass, or indicate that zia Ida called, or maybe she wanted to let us know that grandpa had gotten worse, prompting Mom to run over. Communication refined over the years; the neighbors’ ears could hear the most reserved mother-to-daughter talks, so when they wanted to say something secret and private, they lowered their voices and switched to French. That’s because Grandma had lived for some time in Nice, where she worked as a hairdresser at the age of eighteen, and where all of her siblings relocated in the thirties. My mother also visited her French cousins frequently and is fluent in that emphatic language as well. Thanks to our curiosity, my siblings and I began to learn to understand French from those encrypted courtyard dialogues. However, the most beloved code was the triple ring call: three staccato rings meant that nonna had cooked something delicious that she wanted to send us immediately. So we’d run to the far end of our balcony, from where, on the vast façade of the austere adjacent building, a window a few meters higher would open. Nonna would appear up there and she’d lower a basket and start swinging it left and right, until during the amplest oscillation to the right we’d catch it on the fly, using a stick that had been kept on our balcony for this express purpose. We’d untie and unwrap the warm contents and send the basket back.

This is all to say that yesterday I went to my mother’s apartment to bring her something and I saw her figure from below, looking out of her window. She resembled nonna Santù from behind the glass, so much so that I felt like saying in French, comment ça va? – but she lives on the sixth floor and can’t hear me from up there. She waves a rag down to me and Giulio and smiles. I imagine she’s answering – ça va, ça va.

March 2020, Livorno

(Translation: Shilpa Prasad)

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